Avvistato uno squalo elefante lungo otto metri nelle acque del golfo Trieste. È successo nel tratto di mare tra Santa Croce e Marina di Aurisina e ha subito attirato l'attenzione dei media e anche dei ricercatori.
Nonostante le dimensioni considerevoli, si tratta di un pesce cartilagineo innocuo per le persone, si ciba infatti di plancton, il suo ritorno nelle nostre acque però può essere un indicatore dello stato di salute dell'ecosistema.
Ad annunciare l'avvistamento dello squalo elefante sono stati gli esperti dell'Area Marina Protetta Miramare: che lo hanno soprannominato "Cetorino", dal nome scientifico Cetorhinus maximus: «È una splendida notizia per il Golfo di Trieste e per la sua biodiversità e dà segni di speranza per specie che sono sempre più minacciate in tutto il Mediterraneo. L'avvistamento dell'esemplare ritratto in questa foto ci è stato segnalato nei giorni scorsi e la specie è stata confermata dai nostri esperti».
Per il Golfo si tratta di un'osservazione rara, confermano dall'area protetta: «L'ultima risale al 2015, sempre nelle acque di Duino. Ricordiamo che la sua presenza non deve destare alcuna preoccupazione: sebbene le sue dimensioni possano fare impressione (è il pesce più grande al mondo dopo lo squalo balena), il cetorino si nutre esclusivamente di plancton e in minima parte di piccoli pesci. Quello che invece deve preoccuparci è che la sua conservazione, come quella di tante altre specie di squali e razze, è considerata a rischio».
Lo squalo elefante è infatti una specie protetta attenzionata dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e da tutta la comunità scientifica internazionale. Si distinguono dagli altri squali per una particolarità: sono parzialmente a sangue caldo. I risultati di questa scoperta sono stati pubblicati su Endangered Species Research e mostrano come, al contrario degli altri pesci che non sono in grado di regolare la propria temperatura corporea rispetto all'ambiente, gli squali elefante sono più caldi rispetto alle acque in cui nuotano. «È stato come scoprire che le mucche hanno le ali», hanno commentato i ricercatori.
di MARIA NEVE IERVOLINO