Carlo Vichi armeggia ancora in officina nonostante abbia compiuto 94 anni lo scorso febbraio. “Questa è la mia vita. E io voglio ancora dare lavoro a tanti italiani e lombardi”, spiega al Populista il vulcanico fondatore della Mivar, la più grande industria italiana dei televisori nata nel 1945 e che negli anni d’oro deteneva il 35% del mercato nazionale. Poi è arrivata la rivoluzione degli schermi Lcd e la concorrenza insostenibile dei colossi coreani e cinesi, determinando il declino di inizio 2000 e la chiusura della produzione nel 2013.
La fine di un’epoca, il simbolo del tramonto di certa industria italiana stritolata dalla globalizzazione. Vichi non si è mai arreso, ha proposto più volte e gratuitamente il proprio stabilimento di Abbiategrasso, nel Milanese, a imprenditori in grado di far ripartire la produzione. E di assumere. Appelli caduti nel vuoto. Ora ci riprova rivolgendosi direttamente a quei giganti asiatici che ne hanno causato la rovina. “Signori imprenditori asiatici – scrive sul suo sito – siete gli unici costruttori della componentistica elettronica. Venite a rendervi conto dei vantaggi che potreste avere assemblando in Italia 3 milioni all’anno dei vostri televisori, la Mivar vi concederebbe l’uso gratuito di un complesso industriale in provincia di Milano, come pure il supporto necessario a una vostra presenza in Italia. Il governo stesso darà il benvenuto a un’industria costruttrice di televisori. Signor presidente della Samsung, mandi un suo incaricato a verificare personalmente come stanno le cose, non le costerà nulla”.
Mentre i governanti si baloccano con inutili o dannose riforme del lavoro, mentre le delocalizzazioni desertificano il nostro panorama produttivo, c’è un privato che offre gratuitamente la propria fabbrica a chi volesse investire (e produrre) in Italia. Si tratta di un moderno stabilimento di 120mila metri quadri ultimato nel 2000 sulle rive del Naviglio e mai entrato in funzione. “C’è la possibilità di dare occupazione a 1.000 o 1.200 lavoratori del territorio. Io ne ho dovuti lasciare a casa 700, per questo ho sofferto, ma ero disarmato, senza la componentistica adatta. L’America ci ha rovinato prima ancora dell’Asia, perché il dominio dell’elettronica parte dagli americani”, aggiunge Vichi, esemplare di imprenditore sempre più raro.
Mai compromesso con il grumo di poteri su cui si regge il capitalismo italiano assistito. Mai chiesto aiuto alle banche, mai alla politica: “Non potevo farlo, sarebbero venuti a comandare a casa mia”. Mai pensato di delocalizzare, mai pagato tangenti, mai colluso con cricche varie. Già a metà degli anni Ottanta prevedeva che entro una ventina d’anni l’industria italiana del settore sarebbe stata travolta. “La globalizzazione ci ha portato a sbattere. In Italia il lavoro è finito. Renzi ieri è stato in televisione tutto il giorno e non ha mai parlato di lavoro. Anche perché non saprebbe che cosa dire. Aggiungo una cosa: questo governo è indegno”.
di Marco Dozio